Il “Great Blue Hole” potrebbe spiegare il mistero della scomparsa della civiltà Maya
La ragione del crollo è stato oggetto di accesi dibattiti tra gli studiosi, ma ora i ricercatori pensano di poter risolvere l’enigma grazie all’esplorazione del “Great Blue Hole”, situato al largo delle coste del Belize.
Gli indizi sembrerebbero confermare la tesi secondo la quale una grande siccità sia stata la causa del crollo dei Maya. Il contributo è del ricercatore Andrè Droxler, della Rice University in Texas.
“Il Great Blue Hole è come un grande secchio, una vera trappola per i sedimenti”, ha detto Droxler a Live Science, il quale, insieme al suo team, ha raccolto e analizzato diversi campioni di sedimenti, in particolare osservando la quantità di titanio.
Great Blue Hole
Il Great Blue Hole (in italiano letteralmente “Grande Voragine Blu”) è una grande dolina carsica subacquea situata ad est delle coste del Belize, nel Mar dei Caraibi. Si formò come grotta calcarea durante l’ultima Era glaciale quando il livello del mare era molto più basso. Quando l’oceano iniziò a rialzarsi la grotta si allagò e il tetto collassò verso il basso, dando forma ad una valle di crollo sommersa
Jacques-Yves Cousteau, colui che fece le prime esplorazioni in questo sito, elesse il Great Blue Hole come uno dei dieci siti di immersione più interessanti al mondo, dopo esservisi recato nel 1971 con la sua nave Calypso per monitorarne la profondità.
Si trova vicino al centro dell’atollo di Lighthouse Reef, a circa 60 km di distanza da Belize City. La cavità è quasi perfettamente circolare, larga oltre 300 metri e profonda 123 metri. Facendo parte della Belize Barrier Reef è riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità.
Fonte: Wikipedia
Quando le piogge sono abbondanti, il titanio viene “lavato” via dalle rocce vulcaniche, findendo nell’oceano. La bassa concentrazione di titanio nei sedimenti raccolti da Droxler suggerisce un periodo interessato da pochissime precipitazioni.
Le analisi hanno rivelato che tra l’800 d.C. e il 1000 d.C., proprio quando la civiltà Maya è crollata, si sono verificati solo uno o due cicloni tropicali ogni due anni, anziché le solite cinque o sei grandi tempeste.
Inoltre, un’altra grande siccità sembra essersi attestata tra il 1000 e il 1100, periodo in cui si registra la caduta di Chichen Itza. “Quando ci sono grandi siccità, cominciano a manifestarsi carestie e disordini”, spiega Droxler.
L’idea che un periodo di siccità abbia portato alla scomparsa dei Maya non è del tutto nuova, ma lo studio condotto da Dexler fornisce prove convincenti a sostegno della teoria.
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