Il mistero dei fuochi fatui

Fuochi fatui: “luci fantasma” tra scienza e leggenda, piccole fiammelle azzurre che spuntano improvvisamente dal nulla.

I “fuochi fatui” animano da sempre leggende e credenze in tutto il mondo.

Sebbene la scienza abbia trovato qualche risposta, l’origine del fenomeno è tutt’altro che chiarita.

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In tutto il mondo si narrano leggende su strane luci spettrali osservate dai viaggiatori nel cuore della notte.

Le apparizioni si mostrano come bizzarre fiammelle solitamente di colore blu che si manifestano a livello del terreno in particolari

luoghi come i cimiteri, le paludi e gli stagni nelle brughiere.

Il fenomeno è conosciuto con una varietà di nomi: in italiano sono noti come “fuochi fatui”, nome che mira più a descrivere il modo

in cui si manifesta il fenomeno, mentre nei paesi anglosassoni, sono conosciuti come “Will-o’-the-Wisp”, oppure “Jack-o’-lantern”,

in base alla leggenda cui fanno riferimento.

Anche la scienza si è interrogata sul fenomeno. Benché non esistano prove sulla reale esistenza dei fuochi fatui in natura,

sono state avanzate diverse teorie, tra cui quella quella sull’ossidazione del fosfano e metano,

prodotto dalla decomposizione anaerobica del carbonio organico, che può provocare una luce splendente dovuta a chemiluminescenza.

Tuttavia, come riporta l’Enciclopedia del CICAP, l’origine del fenomeno è tutt’altro che chiarita.

 

Leggende in tutto il mondo

 

Le leggende che riguardano i fuochi fatui sono davvero tantissime e riportate in tutto il mondo,

anche se quelle meglio attestate si tramandano nel folklore inglese e in gran parte di quello europeo.

I racconti britannici si somigliano un po’ tutti e sottolineano l’aspetto malefico della luce in sé o di chi la porta con sé.

Quelli più noti sono quelli di “Will-o’-the-Wisp”, o “Jack-o’-lantern”.

Il termine Will-o’-the-Wisp si basa sul racconto di fabbro malvagio di nome Will, il quale, giunto alla fine dei suoi giorni,

ebbe da San Pietro la possibilità di redimersi. Essendone incapace, fu condannato a vagare sulla Terra per sempre, con in mano un carbone ardente per scaldarsi.

Fedele alla sua malvagità, Will si serviva del carbone luminoso per attirare in trappola gli ignari viaggiatori che notavano la luce,

conducendole in fitte foreste e terribili paludi dalle quali non riuscivano più ad uscire.

La leggenda di Jack-O’-Lantern, invece, risale all’Irlanda. La storia racconta dell’alcolizzato Jack che fu anche lui costretto

a vagare per l’eternità con una lanterna in mano, in quanto escluso sia dal Paradiso che dall’Inferno, non solo per la sua vita immorale,

ma anche per aver addirittura tentato di ingannare il diavolo.

Nell’Europa continentale, le luci vengono associate allo spirito dei defunti, alle fate o ad altri esseri soprannaturali che cercano

di far perdere il sentiero agli ignari viaggiatori.

Altre volte, si ritiene che le luci notturne siano gli spiriti dei bambini non battezzati o nati morti, i quali, non potendo accedere né al paradiso,

né all’inferno, volano sospesi nel limbo.

Storie simili si narrano in nord Europa. In Svezia, ad esempio, la leggenda vuole che il fuoco fatuo sia l’anima di una persona

non battezzate che attira i viaggiatori verso l’acqua, nella speranza di riceve il battesimo.

In Danimarca e Finlandia, invece, il fuoco fatuo era associato alla presenza di un qualche tesoro sepolto nelle profondità del terreno o di una palude.

Anche l’Asia conosce numerose leggende associate a questi enigmatici fuochi notturni. Nel folklore giapponese sono conosciuti come Hitodama, letteralmente “sfera di spirito”.

Sono le anime delle persone morte da poco e appaiono come piccole sfere luminose di colore blu pallido o verdastro con una piccola coda, g

eneralmente nei cimiteri e soprattutto in estate.

Sarebbe talvolta possibile osservarle accanto a persone gravemente malate come manifestazione dell’anima che lascia gradualmente il corpo.

Altri tipi di fuochi fatui presenti nella tradizione giapponese sono gli onibi (fuochi demoniaci), originari della tradizione cinese dove sono noti come gu?hu?,

che accompagnano le manifestazioni di esseri spirituali di origine non umana, accusati di attirare i viandanti lontano dal sentiero per farli perdere nel bosco.

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Tentativi di spiegazione scientifica

Il primo tentativo di spiegare scientificamente le cause dei fuochi fatui è da attribuire al fisico italiano Alessandro Volta, il quale, nel 1776, scoprì il metano.

Egli propose che alcuni fenomeni elettrici naturali, come i fulmini, potrebbero interagire con i gas prodotti dalla palude producendo il noto fuoco fatuo.

Molti scienziati sposarono la tesi di Volta, che però fu presto messa in discussione dato che le testimonianze non accennavano a condizioni meteorologiche

favorevoli ai fulmini, riportavano assenza di calore e lo strano comportamento del fuoco fatuo che sembra retrocedere quando avvicinato da qualcuno.

Tuttavia, l’apparente ritiro del fuoco fatuo poteva essere facilmente spiegato con lo spostamento dell’aria generato da oggetti in movimento

in prossimità del fenomeno e la conseguente dispersione dei gas. La tesi fu dimostrata con una serie di esperimenti prodotti nel 1832 da Louis Blesson.

Nella scienza moderna, è generalmente accettati che la maggior parte dei fuochi fatui sono causate dall’ossidazione di fosfina (PH3), difosfano (P2H4) e metano (CH4).

Queste molecole, prodotte dalla decomposizione organica, a contatto con l’ossigeno possono provocare emissione di fotoni.

Un tentativo di replicare un fuoco fatuo in laboratorio fu tentato nel 1980 dal geologo britannico Alan A. Mills dell’Università del Leicester.

Lo scienziato riuscì a produrre una nube incandescente fredda mescolando fosfina, greggio e gas naturale, ottenendo una luce di colore verde,

ma anche una copiosa quantità di fumo acre, fattore in contrasto con la maggior parte delle testimonianze oculari di fuoco fatuo.

Lo stesso Mills, in uno studio prodotto nel 2000, propose che i fuochi fatuo fossero “fiamme fredde”, ovvero aloni luminescenti precombustione

che si verificano quando vari composti sono riscaldati appena sotto il punto di accensione.

Nel 2008, i chimici italiani Luigi Garlaschelli e Paolo Boschetti hanno replicato gli esperimenti di Mills segnando qualche progresso.

La luce era ancora verdastra, ma regolando le concentrazioni di gas e le condizioni ambientali (temperatura e umidità)

è stato possibile ridurre il fumo e l’odore a livelli non rilevabili.

Fonte.

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