EFFETTO DNA FANTASMA E CAMPI MORFICI

EFFETTO DNA FANTASMA E CAMPI MORFICI – LE ULTIME INCREDIBILI IPOTESI DELLA SCIENZA

Sin dal 1953, anno della scoperta del DNA, è iniziata una corsa alla scoperta del funzionamento della molecola a doppia elica. Dal 1990 sino al 2000, attraverso il Progetto Genoma, sono stati identificati tutti i geni umani aprendo anche la strada ai primi test di clonazione e manipolazione genetica.

Queste ricerche hanno permesso un grande balzo in avanti nella comprensione dei processi di trasmissione biologica, ma nuove ricerche sembrano ampliare ulteriormente le sue funzioni spalancando prospettive inedite sulle potenzialità umane.

Negli anni ‘90 lo scienziato russo Vladimir Poponin venne invitato negli USA per mostrare le evidenze di uno strano fenomeno prodotto dal DNA. Posto un campione di DNA e investito da un raggio laser si otteneva una figura di diffrazione correlata alla forma a doppia elica: fin qui tutto nella norma.

Ma quando il campione venne tolto, la figura di diffrazione, invece di riprendere la sua forma ordinaria restò immutata per un mese circa: come se il DNA possedesse una forza che a distanza esercitava un’azione sui fotoni e quindi sulla figura di interferenza! Questo inatteso effetto è stato chiamato effetto del DNA fantasma, la conferma che il DNA è in grado di sincronizzarsi con tutto ciò cui viene a contatto e di essere in grado di esercitare una forte influenza.

A fronte di questo effetto Peter Gariaev (a capo dell’equipe russa) arriva ad ipotizzare la ragione per cui alcune donne sembrano generare figli con caratteristiche genetiche del precedente partner; se infatti una donna bianca ha avuto un primo partner dalla pelle nera e successivamente genera un figlio da un padre bianco, il figlio potrebbe nascere pelle mista. Tale mix genetico sarebbe forse correlato all’effetto DNA fantasma.

Ma il gruppo di Gariaev e Poponin si è spinto oltre giungendo a scoperte davvero incredibili. Utilizzando uno speciale laser che converte il raggio in onde radio a 632,8 nm, i russi sono riusciti a manipolare il DNA senza dover eseguire le tipiche operazioni di taglio e reinserimento, ampiamente diffuse in Occidente.

Ma non solo, tramite onde radio sono riusciti a guarire dal diabete alcuni topi senza eseguire nessuna operazione chirurgica; inoltre sono riusciti a catturare l’informazione genetica e a riprogrammarla in un altro essere vivente.

Dopo aver effettuato moltissimi esperimenti Gariaev afferma che il cosiddetto DNA spazzatura (il 90% della sequenza genomica) che fino ad oggi sembra non avere alcuna funzione, in realtà sarebbe la parte più misteriosa e importante della molecola, la parte dove si immagazzinerebbero le informazioni e dove avverrebbe la comunicazione col resto del corpo umano. D’altronde è recente la notizia secondo cui ricercatori americani avrebbero memorizzato un libro all’interno di una sequenza di DNA, confermando il progresso tecnologico e conoscitivo ormai raggiunto.

L’equipe infine ha analizzato, grazie ad alcuni linguisti, la sequenza delle quattro basi fondamentali: adenina, citosina, guanina e timina. Confrontando le sequenze genetiche e il modo cui sono disposte hanno riscontrato una sintassi e una semantica simile a quella delle lingue umane. Parallelamente alle ricerche russe lo scienziato Glen Rein ha compiuto una serie di esperimenti sugli effetti nel DNA e delle emozioni umane.

Il DNA infatti sembra percepire i diversi stati emotivi delle persone modificando la forma e la lunghezza degli avvolgimenti; se un individuo prova emozioni positive (amore ed empatia) il DNA reagisce allungandosi, se le emozioni sono negative (rabbia o disprezzo) si contrae. Sembra dunque esserci una connessione tra i sentimenti delle persone e la forma del DNA.

Se è vero che il DNA guida le cellule alla formazione degli esseri viventi, secondo le caratteristiche genetiche, è anche vero che allo stato attuale delle conoscenze non si comprende la ragione secondo cui una cellula assume una certa forma rispetto un’altra.

In fondo tutte le cellule contengono lo stesso DNA che le programma, ma cosa poi le spinge verso una specifica funzione o un’altra? Perché la cellula di una pianta diviene foglia e un’altra lo stelo? A questa domanda, che in biologia riguarda il problema della forma degli esseri viventi, non c’è ancora una risposta chiara. Ma certamente deve esistere un meccanismo più profondo in grado di guidare l’ordine e la forma delle cellule negli organismi viventi.

Riflettendo su questo spinoso argomento il biologo inglese Rupert Sheldrake ha formulato un’interessante ipotesi. Secondo lo scienziato esisterebbe un campo morfogenetico che regola la forma della vita biologica. Questo campo sincronizzerebbe le funzioni di ogni cellula dando direttive su come collocarsi all’interno della struttura vivente. Ma non solo, secondo Sheldrake esistono anche altri campi detti morfici che regolano altre funzioni: come l’ordine con cui molecole e atomi assumono la forma dei cristalli nei minerali, o la funzione di coordinare i comportamenti sociali delle persone e degli animali.

In ambito sociale ne è la prova il fatto che molti uccelli volano a stormi seguendo un sincronismo perfetto nei cambi di direzione, stessa cosa per i pesci. Queste caratteristiche non sembrano il frutto di un “addestramento” come per le reclute in un campo militare, esse paiono insite nella specie, come una sorta di comunicazione non locale (o ipercomunicazione come sostengono gli scienziati russi).

Un altro esempio di coordinamento delle specie avviene in natura tra le termiti o le api che sembrano perfettamente coordinate per raggiungere un fine comune. Nelle api addirittura il ruolo centrale è quello dell’ape regina che a seguito di un’improvvisa morte determinerebbe uno sbandamento di tutto lo sciame cui appartiene. Possiamo dire, in questo caso, che avviene una comunicazione non locale tramite un campo ancora sconosciuto?

Il campo morfico secondo Sheldrake possederebbe anche la capacità di memorizzare ed essere “l’archivio” biologico di ogni specie in termini genetici, ma anche sociali con la conservazione della coscienza collettiva di un popolo o di una nazione. Questo potrebbe significare che ogni mutamento o evoluzione del campo inciderebbe globalmente su tutti i membri di una stessa specie o gruppo. Cominciando dall’evoluzione darwiniana sino all’individuo, Sheldrake considera un ruolo attivo dell’uomo verso gli altri uomini attraverso una visione olistica della biologia e dell’esistenza.

L’importanza del passato e la possibilità di far evolvere l’intera specie attraverso la sintonizzazione dei campi morfici pongono molte speranze all’umanità. In questo modo un gruppo ristretto di individui potrebbe, attraverso un’evoluzione culturale, comportamentale e psicologica, “trascinare” anche il resto dell’umanità.

Ma certamente questa è, ad oggi una mera ipotesi, da verificare attraverso esperimenti e una scienza che forse non è ancora del tutto attrezzata per avvalorare questa tesi. Sono molti i nomi dati a questa connessione tra gli esseri, chi come Sheldrake lo considera in termini scientifici come un misterioso campo fisico, in altri ambiti  esso viene definito (forse troppo superficialmente) campo energetico o noosfera.

Resta comunque un’importante consapevolezza, quella che l’unione tra mente e corpo sostenuta dalle discipline orientali e da certa new age e da un crescente numero di scienziati e accademici, pare avere fondamenti sempre più tangibili. In questa molteplicità di effetti e interazioni il DNA assieme alla mente umana hanno un ruolo che pone nuovamente al centro l’uomo nella sua complessità.

Ed è su queste basi che la scienza dei prossimi anni dovrà confrontarsi se vuole spingere oltre la consapevolezza degli uomini.

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